“Lo spettacolo è finito…o forse no!” di Chiara Corrao

Palermo, 19 luglio 2016.

Lo spettacolo è finito. Il mio volto è bagnato da lacrime che per orgoglio dell’età ho a lungo trattenuto.

Le emozioni della serata sfuggono al mio controllo: “e se tutto questo fosse una menzogna? Se non fosse tutto? Cosa starà pensando adesso? Sta pensando? Come facciamo ad essere certi che quei suoi tratti ereditari che mi dicono di avere sono reali o frutto di un gioco della mente che serve a loro per non dimenticare, per sopravvivere? E se fosse tutto finto?”.

Per molti far parte della mia famiglia è un onore, una bella responsabilità, per me, a volte, è un incubo. Per noi, figli della strage, è una condanna. Per la vecchia generazione, quella generazione che c’era e ha vissuto, potrò sembrare egoista e pazza al solo pensiero, ma io avrei voluto vivere quegli anni, avrei voluto viverlo. Mi sarebbe bastata forse anche una sola foto insieme, o forse no.

Vivere. Com’è precaria la vita. Lo era prima, in quegli anni, ma lo è di più adesso. La vita che c’era allora tra un po’ di tempo non ci sarà più e a noi non rimarrà altro che il ricordo, anche frammentario, di altre persone. Eppure il film “Era d’estate” è riuscito a ridarmi un po’ di quella vita. Le parole non bastano a spiegare come, il film parla da solo e deve essere vissuto per poterne cogliere ogni singola sfumatura. Malgrado ciò, mi ha lasciata dentro il dolore della consapevolezza degli avvenimenti successivi a quelli rappresentati e da questo capisco che non è come i film precedentemente realizzati.

Devono trascinarmi per il braccio per riuscire a farmi muovere, non sono più io, ho lasciato la mia vera me in un’altra dimensione. Cammino verso la macchina allontanandomi da quelle emozioni così forti. Mi guardo intorno,vedo la mia città, ma stasera ha una veste diversa. Mi ritrovo improvvisamente davanti il tribunale, quel tribunale che conoscevi forse più di te stesso, forse, chi potrà mai più saperlo… Provo invidia per quel posto. Lui ti conosce più di me. Quante volte sarai passato per quella strada, trafficata allora così come è oggi. Neanche l’indifferenza della gente è cambiata.

Guardo i piccoli della famiglia e penso al momento in cui capiranno che la favola è reale. Come riusciremmo noi a guidarli? Iniziano a manifestarsi già in noi i primi segni di debolezza, quella debolezza che caratterizza noi figli della strage. Ci sono giorni che perdo la speranza. Non possiamo permettercelo. Non deve accadere.

“Non dobbiamo farci vedere piangere” diceva la nonna. E allora siamo noi i primi ad avere il dovere di ritrovare quella speranza, la speranza che si specchia nei tuoi occhi nelle foto che ti ritraggono negli ultimi giorni.

Non ho più tempo, non ne abbiamo più nessuno di noi; dobbiamo vivere ogni giorno come se fosse uno di quei maledettissimi 57 che ti hanno separato da Giovanni, alla ricerca ogni giorno di un barlume di speranza che ci faccia andare avanti, che non ci dia la possibilità di piangere, perché non c’è tempo. Dobbiamo raccogliere più dati possibile ora prima che sia troppo tardi e le testimonianze dirette volino via.

Arriviamo in via D’Amelio. Hanno già sgomberato la strada dalle auto. La strada è vuota, l’ulivo è solo. Quel vuoto mi spaventa e mi infuria.

Poveri idioti. Rimettete le auto. Lui oggi non verrà, non verrà più. Dovevate toglierle prima.

“Osservo la mia assenza” dice Fiorello nel film. Non so se l’avrai pensato in vita, ma sicuro lo pensi oggi. Ci osservi, lo so. Lo sento. Ce lo dici. Ognuno di noi ti sente in modo diverso. Io ti sento in quel brivido caldo che mi attraversa la schiena e le braccia. È quella gemma di vita, della tua vita che è custodita dentro di noi.

Mi sento impotente. È tutta la vita che sento la gente urlare il bisogno di giustizia. Io preferisco chiudermi nel silenzio dei miei caotici pensieri che scorrono così velocemente da non riuscire a fermarli. Quando riesco a rimetterli in ordine mi rendo conto che a 18 anni contrasto dentro di me pessimismo e ottimismo. Agli occhi di chi legge o ascolta questi pensieri potrò sembrare una pazza. Ma che altro posso farci. Sono una figlia della strage. Non so se col tempo riuscirò a schierarmi dall’uno o dall’altro punto di vista, forse non lo farò mai, forse non deve essere fatto. Di parole ne sono state sprecate tante, e ancora verranno sprecate. Credo che bisogni cambiare la strategia: lasciamo che siano i bambini ad urlare, loro sanno farlo nel modo giusto, ai ragazzi la guida e agli adulti la responsabilità.

Tutti si alzano in piedi e tra applausi, lacrime e saluti la vita ritorna quella di sempre. Lo spettacolo è finito…o forse no!

Chiara Corrao

Figlia della Strage

 

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