“L’EREDITÀ DI PAOLO BORSELLINO”. INCONTRO CON L’ISTITUTO COMPRENSIVO RAPISARDI DI CANICATTì (AG)

Ringraziamo l’Istituto comprensivo “Mario Rapisardi” di Canicattì (AG) per l’invito a partecipare all’importante dibattito dal titolo “L’eredità di Paolo Borsellino” che si è tenuto mercoledì 22 marzo scorso nel Teatro della Scuola Primaria e che ha visto la partecipazione di Vittorio Teresi, alunni e alunne e docenti della scuola canicattinese. La giornata, densa di emozioni e di contenuti, ha rappresentato una tappa di un percorso di approfondimento più ampio nel quale tutti gli studenti, sia della Primaria che della Secondaria di primo grado, sono stati guidati dai loro docenti nell’approfondimento del fenomeno mafioso. La restituzione degli elaborati scolastici è stato uno dei momenti più belli e colmo di speranza per il futuro della società che tutti e tutte siamo chiamati a costruire. Un particolare ringraziamento lo rivolgiamo alla dirigente scolastica Caterina Amato e la maestra Mariapia Dalacchi .

Copiose le domande rivolte al presidente del Centro Studi Paolo e Rita Borsellino Vittorio Teresi. Domande finalizzate alla conoscenza del punto di vista di una persona che ha lavorato in magistratura per tanto tempo. Domande che restituiscono anche la percezione del grande lavoro che ha preceduto l’assemblea. Per esempio Giuseppe chiede: Giovanni e Paolo sono stati più pericolosi da vivi o lo sono di più da morti? Secondo Teresi occorre considerare due aspetti: il lavoro che hanno svolto dentro le aule dei tribunali, che è stato importantissimo. Difatti oltre gli arresti il loro impegno ha contribuito a far emergere con chiarezza un fenomeno che in quegli anni veniva riconosciuto dalla gente con grande difficoltà. Si diceva che la mafia era un’invenzione dei giornali del nord. Tuttavia, dopo la loro terribile uccisione, il messaggio di cui si sono fatti portatori è uscito fuori dai tribunali con forza e ha incontrato tutte le persone per bene di questo paese.

Poi interviene Rosalba chiedendo: Sappiamo che sconfiggere la mafia è molto difficile. Come ha fatto Paolo Borsellino ad affrontare la mafia?

Per Teresi Paolo Borsellino aveva capito che la mafia, oltre a possedere una violenza spietata, è un fenomeno più complesso che affonda le sue radici nella società stessa. Come una componente malata della nostra società. Quindi era e risulta ancora oggi molto importante il lavoro di repressione portato avanti da carabinieri, polizia, guardia di finanza, magistratura ecc.. Ma non basta. Paolo Borsellino aveva capito che era necessario il contributo determinante di tutte le persone, un movimento culturale di massa che si oppone all’indifferenza e al puzzo del compromesso morale.

Numerosi gli altri interventi volti a conoscere anche il profilo umano di Paolo Borsellino, quali fossero le sue passioni, i ricordi più belli e le sensazioni personali provate dopo Capaci e Via D’Amelio

Rispondendo alle tante curiosità Teresi afferma che Paolo aveva la passione del lavoro, era un gran lavoratore e nonostante non avesse molto tempo, sopratutto nell’ultimo periodo, si dedicava sempre agli affetti e alla sua famiglia. Viene ricordato che il giudice Borsellino amava molto scherzare, era una persona molto solare, aperta. Scherzava su tutto, anche sulle cose più importanti. Teresi continua dicendo che “Dopo la morte di Giovanni e 57 giorni dopo quella di Paolo, io e i miei colleghi abbiamo provato dolore e rabbia. Una rabbia che abbiamo trasformato in maggiore impegno e determinazione. Lo abbiamo giurato sulle loro bare”.

“La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Afferma Donatella, citando Falcone. “Anche lei dott. Teresi è speranzoso?”

“Assolutamente sí. Ma occorre il contributo di tutte le componenti dello Stato: politica, magistratura, forze dell’ordine, università, scuola, economia. Occorre che si formi, come diceva Paolo, un grande movimento collettivo.

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