Paolo Borsellino

Paolo Emanuele Borsellino nasce il 19 gennaio 1940, a Palermo, nell’antico quartiere della Kalsa. Cresce nella Palermo dilaniata del secondo dopoguerra. La sua famiglia possiede e gestisce l’omonima farmacia e Paolo è il secondo di quattro figli; i suoi fratelli sono Adele, Salvatore, e la piccola Rita. Nel 1962 Paolo Borsellino si laurea alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo con una tesi dal titolo “Il fine dell’azione delittuosa” e pochi mesi dopo vince il concorso in magistratura divenendo il più giovane magistrato d’Italia. Fu da prima assegnato al tribunale di Enna nella sezione civile, successivamente nominato Pretore a Mazara del Vallo e poi a Monreale dove lavorò con il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile. Nel 1975 viene trasferito al tribunale di Palermo e a luglio entra all’Ufficio istruzione processi penale sotto la guida di Rocco Chinnici, con il quale aveva svolto il tirocinio come uditore giudiziario. Il 4 maggio del 1980 a Monreale venne ucciso il capitano Basile e Chinnici gli affidò l’istruzione del relativo procedimento penale. Un evento drammatico sul piano personale, ma determinante per lo sviluppo dell’attività professionale di Paolo Borsellino che sino a quel momento aveva continuato a lavorare alla sezione civile. Per la prima volta si occuperà di mafia. Nel frattempo al suo stesso Ufficio era approdato il suo amico d’infanzia, Giovanni Falcone, che sino a quel momento si era occupato di aste fallimentari ed è allora che capirono che nel suo loro lavoro dovevano occuparsi esclusivamente di criminalità mafiosa, come lui stesso scriverà in una lettera mai spedita indirizzata a una studentessa.

Nel 1983, dopo l’uccisione del consigliere Chinnici, sarà Antonino Caponnetto a succedergli all’Ufficio istruzione processi penali portando avanti e sviluppando il progetto del pool antimafia di Palermo dove Paolo Borsellino lavorerà sino al trasferimento alla procura di Marsala, come procuratore capo. 

A seguito di importanti collaborazioni con la giustizia da parte di alcuni mafiosi di rango, verrà istruito il maxi-processo, il primo processo a Cosa nostra, che vide 475 imputati. Nell’estate del 1985 una fonte interna delle carceri informa Caponnetto che su Giovanni e Paolo gravano serie minacce di morte e al fine di preservare la loro incolumità vennero prelevati in gran fretta e trasportati nella foresteria del carcere di massima sicurezza dell’Asinara, così da poter continuare a lavorare in sicurezza agli atti del maxiprocesso. Venticinque giorni di soggiorno obbligato, al termine del quale gli venne addebitato anche il conto delle spese. 

Il 4 agosto del 1986 il Consiglio superiore della magistratura nomina Paolo Borsellino a capo della procura di Marsala, preferendolo per la sua competenza professionale in deroga al requisito di anzianità. Un ruolo direttivo di grande importanza dove il magistrato poté valorizzare tutta la sua esperienza in un territorio dove non si celebrava un processo di mafia da diversi lustri.  Una nomina che però, nei mesi successivi, fu destinata a infuocare il dibattito pubblico e ad essere accompagnata da asprissime polemiche, a partire da un articolo di Leonardo Sciascia apparso il 10 gennaio del 1987 sul Corriere della Sera dal titolo “I professionisti dell’antimafia”. Borsellino rimase a Marsala sino al 1992, furono gli anni dei primi processi alla mafia nella provincia di Trapani e dell’incontro con Rita Atria, per Paolo Borsellino la picciridda, una giovane ragazza di Partanna, cresciuta in una famiglia mafiosa, alla quale avevano ucciso il padre e il fratello e che in un diario personale aveva annotato nomi e cognomi dei presunti mafiosi e dei traffici illegali nel territorio. Una testimone di giustizia.

Nel 1992 Borsellino fa ritorno a Palermo, Falcone nel frattempo era approdato a Roma all’Ufficio affari penali del Ministero di Grazia e Giustizia e già 4 anni prima il pool antimafia era stato smobilitato, poiché, il 19 gennaio 1984, il Consiglio superiore della magistratura preferì Antonino Meli a Giovanni Falcone, che sembrava l’erede più accreditato a succedere ad Antonino Caponnetto. Un fatto che Borsellino denunciò pubblicamente in due storiche interviste rilasciate ad Attilio Bolzoni per il quotidiano La Repubblica e Saverio Lodato per il quotidiano l’Unità e a causa delle quali rischiò pesanti ammonizioni. Borsellino venne audito dal Csm il 31 luglio 1988 e grazie alla recente desecretazione degli atti sappiamo che al termine dell’audizione durata 4 ore riferì testualmente “All’interno dell’Ufficio Istruzione c’è una persona che di entusiasmo ne sa vendere a tutti e in tutti i modi e, pertanto, io sono rimasto sinceramente preoccupato nel momento in cui l’entusiasmo gliel’ho visto perdere. Mi riferisco a Giovanni Falcone“.

Il 23 maggio del 1992, sul tratto che dall’aeroporto di Palermo porta in città, nei pressi di Capaci, Cosa nostra fa esplodere il tratto di autostrada dove transitavano le auto di Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e le auto del corteo della scorta. Sino a quel momento il suo amico d’infanzia e collega era stato come uno scudo per lui. Paolo Borsellino ha consapevole certezza che dopo Falcone il prossimo sarà lui. 

Il 20 giugno 1992 partecipa ad un evento in memoria di Giovanni Falcone organizzato dagli scout Agesci e nonostante il dolore e la preoccupazione per sue sorti pronuncia parole di speranza:

“Occorre dare un senso a questa morte di Falcone, tutti abbiamo un debito nei confronti suoi della moglie e degli agenti della scorta. Sono morti per noi e abbiamo un grosso debito verso di loro. Questo debito dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera, facendo il nostro dovere, testimoniando i valori in cui crediamo, anche nelle aule di giustizia. Accettando in pieno questa gravosa e bellissima verità dimostrando a noi stessi ed al mondo che Falcone è vivo!”.

Il 25 giugno del 1992 nel contesto di un dibattito organizzato presso l’atrio della biblioteca comunale di Palermo, oggi Atrio Paolo Borsellino, dalla rivista Micromega e dal movimento La Rete, Borsellino partecipa a quella che sarà la sua ultima apparizione pubblica. Arriverà in ritardo, si scusa e annuncia che andrà via prima della fine. Dice pubblicamente di avere convinzioni, di aver raccolto confidenze, di possedere elementi che possono essere utili alla ricostruzione dell’evento che ha portato alla morte di Giovanni Falcone, ma che ne riferirà innanzitutto all’autorità giudiziaria e solo dopo ne parlerà pubblicamente. Dirà che Falcone cominciò a morire dal gennaio del 1988 e che considerava la strage di Capaci il naturale epilogo di questo processo di morte

Come noto, purtroppo Paolo Borsellino non venne mai sentito dalla procura di Caltanissetta, competente sulle indagini della strage di Capaci.

Sovente Paolo Borsellino andava a trovare sua madre, la signora Maria Pia Lepanto, percorrendo sempre la stessa strada. Domenica 19 luglio 1992, si alza presto inizia a scrivere una lettera in risposta a una missiva ricevuta dal Liceo Alvise Cornaro di Padova. Inizia a scrivere “Gentile professoressa” non avendo compreso che a scrivergli era una studentessa e non una docente. Risponde di proprio pugno alle domande che gli vengono poste e interrompe la lettera alla domanda numero quattro “Quali sono stati e quali sono i rapporti tra mafia italiana e mafia americana?”. Trascorre la giornata a Villagrazia di Carini con parenti e amici e nel pomeriggio parte alla volta di Palermo: deve accompagnare sua mamma per una visita dal cardiologo, il dottor Pietro Di Pasquale. Si dirige in via D’Amelio, a casa della sorella Rita dove si trovava la signora Lepanto.

Apre il corteo una macchina di scorta dove alla guida si trova l’agente Antonio Vullo, segue l’auto di Borsellino, poi un’altra macchina di scorta. Dalle macchine scendono tutti, tranne Vullo. I colleghi che avevano usato la macchina per un servizio gliela avevano lasciata senza benzina e ne voleva approfittare per rifornirla prima della ripartenza. Gli altri scendono si avvicinano al citofono del primo cancello, suonano, si apre ed entrano. Vullo si allontana con la macchina per fare inversione. Gli altri si dirigono verso il secondo citofono e a quel punto, sono le ore 16:58, una Fiat 126 rubata contenente circa 90 chilogrammi di Semtex-H telecomandati a distanza, esplode causando la morte di Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina. Rimane ferito Antonio Vullo.

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